THOUGHTS
“L’ultimo anno ci ha dimostrato che il mondo può cambiare più velocemente di quanto avremmo potuto mai immaginare” spiega il nostro CEO Carlo Noseda.
Da questa idea nasce MAKE CHANGE, il nostro primo digital magazine sui cambiamenti della società. Affronteremo insieme diversi temi che raccontano l’evoluzione del nostro mondo e le risposte che i brand possono offrire.
A cominciare da quella alla domanda più semplice ma al tempo stesso più complessa della nostra vita: “Perché esistiamo?” Una domanda che oggi le aziende devono porsi come centrale.
Nella prima uscita del magazine, quindi, parliamo di Purpose e di cultura aziendale. Quella che, oggi più che mai, diventa un asset competitivo irrinunciabile, un fattore chiave per essere attori protagonisti del cambiamento.
“Il cambiamento parte da dentro” è, infatti, il titolo di questa prima edizione, qui potrete leggerne la versione completa.
Il 2020 è stato un anno cruciale per il mondo dell’influencer marketing. Nel momento in cui gli eventi PR sono spariti, i party della fashion week sono diventati un nostalgico ricordo e i weekend organizzati dai brand una vera utopia, ecco che i nodi sono venuti al pettine.
Chi ha campato per anni a colpi di viaggi sponsorizzati, stories al ristorante e scatti “rubati” durante il Coachella o sul pavé di via della Spiga, si è trovato senza niente da fare, ma soprattutto con poco o nulla da dire.
E i risultati sono stati altalenanti, spesso deludenti. C’è chi ha provato a sbarcare su Tik Tok, chi si è dato alla mindfulness, ai cristalli e al palo santo, ma anche chi ha infranto la quarantena, chi ha goffamente intavolato discorsi motivazionali che sono stati giudicati come poco sensibili, chi ha contribuito alla diffusione di disinformazione intorno al Covid-19.
Durante il corso del 2020, gli influencer sono stati aspramente criticati.
In un’era in cui ci si rende sempre più conto di quanto l’attivismo online possa condurre a un cambiamento tangibile nel mondo reale – il movimento Black Lives Matter lo dimostra, ma anche la campagna #StopHateForProfit o il più recente caso Reddit di cui abbiamo scritto la scorsa settimana – si è ormai diffusa l’aspettativa che chi dispone di una piattaforma, la utilizzi a beneficio della società. Oggi gli utenti esigono una presa di posizione da parte dei personaggi influenti, nonché un’assunzione di responsabilità.
Come ricorda Godin, nel 2020 i manager di tante aziende si sono resi conto che era necessario relazionarsi in maniera autentica con le proprie persone e individuare nuove strade da percorrere assieme. Parallelamente, i brand che si sono dimostrati in grado di aiutare i propri consumatori, o anche solo far percepire la loro vicinanza, hanno rafforzato il proprio posizionamento e la loro relazione con le persone.
Anche gli influencer, volente o nolente, sono stati travolti da questa ondata di consapevolezza. Per chi ha già conquistato una audience considerevole attraverso un mix di bellezza, lusso e successo, la nuova sfida è dimostrare integrità e attitudine a esercitare in modo responsabile la propria influenza sproporzionata.
Uno degli esempi migliori è anche il più nostrano. Chiara Ferragni e Fedez hanno dimostrato un impegno concreto e costante durante tutto il 2020, a partire dai momenti più bui della pandemia. Hanno raccolto fondi a sostegno delle terapie intensive, hanno organizzato sessioni musicali dai loro balconi, hanno apertamente risposto a chi diffondeva disinformazione, hanno usato i propri canali per rilanciare il Made in Italy. E gli influencer più piccoli? È possibile creare soluzioni a problemi reali, come sostiene Godin, anche senza contare su milioni di followers?
Sì. Lo dimostrano alla perfezione gli influencer divulgatori, in crescita sia per numero che per seguito da parte degli utenti.
Sempre di più, le persone cercano figure accessibili per comprendere questioni complesse.
Lo vediamo su YouTube, dove il 70% delle ricerche degli italiani sono di carattere funzionale (tutorial e recensioni), ma anche su Instagram.
La dottoressa e nutrizionista Sofia Bronzato, che educa circa 140k followers su una dieta bilanciata, è parte di una nuova ondata di professionisti che usano i canali social per democratizzare informazioni che fino a poco tempo fa erano accessibili solo a pagamento e per mettere le proprie competenze a supporto di una maggiore chiarezza e veridicità.
Il prof. Dario Bressanini è ormai conosciuto e amato come “l’amichevole chimico di quartiere” che non si limita a consigliare la temperatura perfetta per far rosolare la carne, ma si impegna a smontare tutte le bufale legate al Covid-19 in favore di una visione più chiara e consapevole della pandemia. Sul profilo di Will Italia, il giornalista Francesco Oggiano spiega la politica in modo tanto semplice, quanto competente.
Questo fenomeno apre nuove interessanti opportunità per i marchi che operano in industry poco “patinate” e non propriamente lifestyle, come ad esempio l’energia, la finanza, le assicurazioni.
Aumentano il numero e la varietà di influencer, aumentano anche le fonti di ispirazione da cui i brand possono (e dovrebbero) trarre spunto, ma aumentano anche le variabili da considerare nella scelta dei propri testimonial.
Engagement dei follower, stile e tipologia di contenuti non sono più sufficienti, mentre diventa fondamentale l’allineamento sui valori.
Clubhouse, il nuovo social media basato sulla condivisione audio, è diventato in poco tempo una tendenza: ma il suo successo si inserisce in un panorama più ampio di grande revival dell’audio nel mondo digitale. La nostra Stefania Zulian (Social Media Strategist) spiega i motivi di questo grande ritorno.
Il nuovo social Clubhouse è la vera novità del momento sulla bocca di tutti.
Lanciato a marzo 2020, Clubhouse è ancora in versione beta e disponibile solo per iOS, eppure ha già raggiunto oltre 5 milioni di utenti attivi (sono circa 2 milioni le persone che lo utilizzano ogni settimana) e una valutazione di oltre un miliardo di dollari.
Come funziona Clubhouse?
Si tratta di una piattaforma social totalmente audio based: questo significa che è possibile comunicare solo tramite audio.
Si potrebbe quindi definire questa piattaforma come una sorta di gigantesco podcast di gruppo, costantemente in live streaming. È possibile creare degli appuntamenti su un calendario condiviso con i propri contatti e creare delle “stanze” – le cosiddette Rooms – pubbliche o private dove conversare con altre persone. I tutorial, gli how-to, le guide all’utilizzo sono ormai ovunque, è quindi inutile dilungarsi sulle feature specifiche della piattaforma. Piuttosto, ciò che è interessante da capire è perché Clubhouse stia avendo così tanto successo. C’è sicuramente un hype generato dalla meccanica di “selezione all’ingresso” che aumenta la desiderabilità a entrare nella piattaforma: per iscriversi a Clubhouse è necessario ottenere un invito da qualcuno tra i propri contatti. Un hype che è stato amplificato, se non addirittura generato, da celebrity endorsement di altissimo livello.
A dicembre 2020, Virgil Abloh si definiva un grande fan e utente accanito di Clubhouse, dichiarando: “Faccio parte di quel collettivo di persone che stabilisce cosa è in e cosa out e per me questa è una responsabilità importantissima. Ritengo allora fondamentale che io sia consapevole di quello che pensano e desiderano le persone, devo essere connesso con la gente, non basta che io mi rinchiuda nel mio studio e che decida senza aver sentito la voce dei consumatori.” Secondo il Direttore Creativo di Off-White e della linea uomo di Louis Vuitton, Clubhouse offre un modo per connettersi con le persone che elimina la necessità o il desiderio di farsi vedere. È un social network senza like, senza follower, dove la sostanza vince sull’apparenza.
In un contesto in cui è importante ciò che si dice e non come si appare, le conversazioni diventano inevitabilmente più profonde e autentiche perché, come sostiene Abloh, la voce non mente. Per capire il successo di questa piattaforma, dobbiamo quindi fare un passo indietro e allargare il nostro sguardo a una visione d’insieme.
Siamo in un momento in cui l’audio è tornato prepotentemente nel panorama digitale. Il successo dei podcast, la diffusione sempre maggiore dei dispositivi audio, l’hype legato a Clubhouse, sono tutte manifestazioni dello stesso fenomeno: in una realtà sempre più mediata dalla tecnologia, le persone non sentono solo il bisogno di sentirsi ascoltate, ma hanno anche la necessità di instaurare relazioni più “umane”.
Una voce familiare crea un collegamento immediato e personale tra chi parla e chi ascolta. Secondo Spotify, il 68% dei fan di podcast ritiene facile sentirsi emotivamente connessi a un presentatore e che sintonizzarsi è come ascoltare un amico. Il 57% degli italiani ha affermato che la voce ci rende più sentimentali nei confronti dei nostri dispositivi e il 59% considera l’audio un elemento fondamentale per umanizzare la tecnologia. In effetti, l’audio è il più umano dei mezzi tecnologici. Questo combacia perfettamente con il fatto che l’udito è il senso più rapido e coinvolgente ed è quindi anche un potente rilevatore di bugie: il nostro cervello ci mette un quarto di secondo per riconoscere un’immagine, ma solo 0,05 secondi per riconoscere un suono. Quindi, sì, ha proprio ragione Abloh: gli occhi mentono, ma le orecchie no. E mentre Rivista Studio ironizza sul fatto che Clubhouse sia diventata la piattaforma d’elezione dei Millennial che si sentono troppo vecchi per Tik Tok, dall’altro lato vediamo come anche la Generazione Z, stanca della cultura della perfezione alimentata da Instagram, sia sempre più coinvolta in questo ampio fenomeno. Il 67% dei giovani italiani dichiara di usare l’audio per affrontare lo stress e l’ansia, il che certe volte significa anche solo poter ascoltare su Spotify una playlist a tema.
Fonte dei dati: sondaggio sui trend Spotify condotto su 5.500 intervistati tra 15 e 40 anni di età in AU, BR, CA, DE, ES, ID, IN, IT, MX, UK, US, gennaio 2020.